Non ricordo bene quando ho iniziato a praticare lo yoga, ma erano più o meno gli anni dell’università e del conservatorio. Iniziai, però, ad interessarmene ben prima, sulla scia di ciò che avevo letto riguardo a Karajan, di cui per lungo tempo subii il fascino. Sapevo, in base alle tante biografie lette, che il buon Herbert non solo si interessava alle filosofie orientali, ma che, nell’intimità delle mura di casa sua, praticava anche lo yoga, appreso da autodidatta in gioventù grazie ad un libro trovato non mi ricordo dove.
Un po’ per imitazione e un po’ perché sono curioso di natura, cominciai in maniera un po’ superficiale a fare delle letture per capire meglio di cosa si trattasse. Perché nell’immaginario collettivo quando si pensa allo yoga si immagina sempre una persona seduta con le gambe incrociate in maniera particolare, con gli occhi chiusi, le mani in una posizione strana, che sta facendo non si sa bene cosa. Man mano che aumentavano le informazioni, non solo me ne appassionavo sempre di più, ma mi rendevo anche conto di quanto fosse falsata quella rappresentazione. Con mio stupore scoprii, ad esempio, che lo yoga non è per niente, o almeno non è solo una disciplina statica, ma prevede un’attività fisica a volte estremamente dinamica, e che gran parte della ginnastica a corpo libero, cui siamo sempre stati abituati a scuola o in palestra, e quasi tutta la cosiddetta ginnastica posturale sono in realtà mutuate proprio dallo yoga.
Si tratta di una disciplina ricca, completa e complessa, con aspetti spirituali, mentali, psicologici e fisici. Qualcuno lo definisce addirittura una scienza, data la vastità del sapere di cui è costituito, per approfondire il quale effettivamente non basterebbe una vita. Proprio questa vastità e questa ricchezza all’inizio mi hanno reso titubante nell’iniziare una pratica. Sì, perché non è possibile comprendere lo yoga se non lo si pratica. E’ un po’ come se qualcuno dicesse di saper dirigere solo perché si è letto il Manuale del Direttore d’Orchestra di Hermann Scherchen! Titubante, dicevo, perché intanto mi sono ritrovato perso nella miriade di diciture e tipologie di yoga. E se avessi scelto quella sbagliata? Se mi fossi rivolto alle persone sbagliate? Come facevo a scegliere dove lo potevo praticare meglio? Facendo ricerche in rete avevo anche capito che quest’ambiente non è privo di fanatici e invasati, che ovviamente volevo evitare.
Alla fine mi sono deciso ed ho compiuto questo passo necessario, e devo dire di essere stato anche abbastanza fortunato, perché ho trovato un centro in cui si cercava di presentare lo yoga il più possibile nella sua interezza, per farne conoscere e praticare i diversi aspetti. Quindi non solo gli asana (cioè le posizioni), ma anche la meditazione, le tecniche di respirazione (pranayama) e la recita dei mantra, recita che a volte è un vero e proprio canto. La cosa divertente è che quando ho iniziato a frequentare gli incontri, ho scoperto che in realtà avevo iniziato a praticare yoga il giorno della mia prima lezione di pianoforte. Per chi proviene, infatti, da studi musicali strutturati, alcuni aspetti riguardanti la concentrazione e la percezione del proprio corpo nella rilassatezza risultano abbastanza immediati all’inizio. Tant’è che quando il mio insegnante scoprì che ero un pianista iniziò, dopo manifestazioni di giubilo e ammirazione, ad usarmi in questa veste come modello esemplificativo per gli altri praticanti, non senza un certo imbarazzo da parte mia.
Chi pratica lo yoga aspira a raggiungere la buona salute fisica, mentale e spirituale. Rimette insieme i pezzi della propria esistenza. Non a caso la parola yoga vuol dire “unione”, unione di mente e corpo. Oggi posso dire che l’aver approcciato questa disciplina ha significativamente migliorato la mia persona e di conseguenza anche il mio essere musicista. Oltre i primi benefici sul fisico, che all’inizio sono i più tangibili, la pratica dello yoga mi ha aiutato a sviluppare un maggior equilibrio interiore e ha risvegliato in me una dimensione spirituale che spesso in noi occidentali è un po’ sopita sia perché associamo sempre la spiritualità alla religione, che ne è solo una forma particolare, sia perché viviamo in una società che tende ad enfatizzare gli aspetti più materiali. Penso anche che sia stato questo tipo di percorso all’interno dello yoga a preparare in me il terreno per capire e accogliere di buon grado la visione spirituale e trascendente degli insegnamenti di Celibidache, con i continui riferimenti all’unicità di un brano di musica, alla necessità di viverne la fine contenuta nell’inizio, all’assunto di partenza che il suono non è musica ma lo può diventare attraverso un processo trascendente. In questo senso, quindi, lo yoga, per quanto riguarda il mio personale vissuto, ha dato un contributo attivo anche per tutto ciò che oggi mi caratterizza come musicista.
Ovviamente consiglio sempre a tutti lo yoga. Se mi si chiedesse: ma è utile per un musicista? Risponderei sicuramente di sì. Intanto perché migliorarsi come persona, avere più consapevolezza di sé e rinforzare il proprio equilibrio interiore ci aiuta in tutto ciò che facciamo. In secondo luogo, un musicista ha la necessità di essere “centrato”, con la mente e con il corpo. Un buon controllo fisico e un uso consapevole del proprio corpo sono aspetti fondamentali. Per un direttore d’orchestra è anche importante una postura equilibrata, necessaria premessa per poter liberare il proprio corpo dalle contratture superflue e muovere le braccia liberamente. Poi, molto più prosaicamente, ci sono i piccoli scompensi fisici dovuti all’attività musicale e che necessitano di essere corretti o controbilanciati (provate a stare voi un’ora e mezza con le braccia sollevate in avanti senza che vi faccia male la schiena). Senza contare lo stress e la gestione dell’ansia prima dei concerti. Insomma, nessuno ha la bacchetta magica e non esistono pratiche o farmaci miracolosi, ma posso dire che, in tutti questi aspetti, una pratica quotidiana dello yoga aiuta!